PIERO RAGONE è filosofo, ricercatore, scrittore, studioso di religioni e di esoterismo. Il suo campo d’indagine è tutto ciò che la scienza non è in grado di spiegare. Laureato in Filosofia nel 2001, consegue due master e nel 2017 riceve la laurea honoris causa in Scienze Esoteriche. Autore di numerosi testi di successo, è ospite di convegni nazionali ed internazionali e il suo nome è accostato ai maggiori interpreti della ricerca italiana e mondiale.

sabato 10 febbraio 2018

NEVERMIND

1990. Quando tra le major si sparse la voce che la demo dei Nirvana, registrata per la Sub Pop all’inizio dell’anno, era un potenziale successo commerciale, molti colossi della musica bussarono alla porta del trio di Seattle. Cobain scelse la Geffen Records, che garantiva al gruppo assoluta autonomia creativa.
Completate le registrazioni delle 12 tracce (+ una fantasma) di Nevermind tra maggio e giugno 1991, qualcuno (forse il diavoletto che ti bisbiglia all’orecchio sinistro) fece notare al leader della band che l’album conteneva non meno di 6 hit da primo posto, e che una distribuzione centellinata dei brani avrebbe garantito al gruppo la permanenza ai vertici delle classifiche per un buon decennio.
Anche se nessuno lo ammetterà mai, questa è la regola non scritta che tiene in vita quasi tutte le etichette discografiche, anche nostrane: se hai 4-5 canzoni di buon livello, è più “commerciale” lanciarne 1-2 all’anno e sistemarle come prima e terza in un album che poi gonfi di riempitivi, in modo da assicurarti un’esposizione mediatica costante e, quindi, guadagni costanti, almeno per un lustro.
Ma Cobain non era d’accordo; aveva a lungo sognato di costruire Nevermind su una solida manciata di tracks dal sicuro impatto, come tutti gli album che avevano segnato la sua formazione musicale, pietre miliari del rock senza alcuna concessione al “marketing”: 12-14 brani memorabili concentrati in un solo lavoro, da Nevermind the Bollocks dei Sex Pistols a Back in Black degli AC/DC.
Nevermind rimase com’era; per avere l’anima di Cobain, il diavoletto avrebbe dovuto impegnarsi di più.

Ho cominciato i lavori per Dominion (che, in principio, aveva un altro titolo) nell’ottobre 2015, seguiti da una pausa di circa 4 mesi, per poi concluderlo nel maggio 2016. A quel punto, avevo accumulato così tanto materiale che un solo libro non sarebbe stato sufficiente per esporre il tutto in modo convincente. Era necessario ripartirlo in due opere. Ho selezionato i temi da pubblicare in Dominion con la certezza che, dal dicembre 2016, dopo un giro di conferenze, avrei rimesso mano alle ricerche per completare l’opera (maggio 2017) e pubblicarle nell’ottobre 2017 con il titolo Bloodlines. Come avevo promesso a me stesso. E a qualcun altro.
Entrambi trattano non meno di 8 temi ben distinti che meritano di essere approfonditi in altrettante monografie; avrei potuto dedicare ad ognuno di essi un intero libro.
Forse il diavoletto che ti bisbiglia all’orecchio sinistro ha formulato la stessa proposta anche a me: “Perché limitarti a due soli libri quando, con gli argomenti trattati, potresti pubblicarne 8-10, e restare sulla cresta dell’onda per un decennio?”.
Risposta: dato che le mie tasche sono mezze vuote più o meno come le Vostre, conosco il “peso” di 15-18 € spesi per un libro. Non so Voi, ma sono facile all’ira quando spreco i miei modesti guadagni per un libro che non li merita, specie quelli costruiti su una sola idea tirata per le lunghe su 300 pagine di noia pura.

Probabilmente i miei lavori non sono e non saranno mai da n.1, ma ho sempre pensato che un libro non debba contare più di 250 pagine, debba presentarsi come una mini enciclopedia condensata ed essere traboccante di informazioni, citazioni, note a piè di pagina e spunti nuovi. Nei miei libri non ci sono “cover” dei pensieri altrui; per quanto assurde siano, c’è posto solo per le mie conclusioni. “Se qualcuno mi legge – impongo a me stesso – deve trovarci qualcosa di nuovo e mai letto altrove”.

Dominion e Bloodlines sono rimasti come li avevo concepiti e, quindi, temo che, per avere la mia anima, il diavoletto dovrà impegnarsi di più.
Potevo sfornare un libro ogni sei mesi, diluire gli argomenti, rimescolare i pensieri, strecciare le mie conclusioni per altri 5-6 anni. Ma non è da me. Non è professionale. Non è degno di chi mi ha insegnato a dare tutto senza trattenere nulla. 
Per la cronaca, la parola Nevermind può essere tradotta come “Non importa”, “Lascia perdere”, “Chissenefrega” o qualcosa del genere.
Appunto: ci si poteva adagiare sui trucchi del “commerciale” e forse guadagnarci qualcosa in più. Ma come dice Cobain: Nevermind. 
Grazie per la dritta, ma non sono interessato.

Ci Vediamo al Bivio, Ragazzi.
Piero Ragone
VVB