PIERO RAGONE è filosofo, ricercatore, scrittore, studioso di religioni e di esoterismo. Il suo campo d’indagine è tutto ciò che la scienza non è in grado di spiegare. Laureato in Filosofia nel 2001, consegue due master e nel 2017 riceve la laurea honoris causa in Scienze Esoteriche. Autore di numerosi testi di successo, è ospite di convegni nazionali ed internazionali e il suo nome è accostato ai maggiori interpreti della ricerca italiana e mondiale.

lunedì 19 marzo 2018

MI RICONOSCERÒ?

Mentre l’auto si spingeva sul manto grigio di una strada perlata, mi chiedevo: “Lo riconoscerai? E lui, riconoscerà me?” Erano trascorsi molti anni, e quando si è in quella età, ogni anno che passa ha il potere di cambiarti il doppio.
Eravamo come fratelli, cresciuti insieme nella stessa scatola divisa in quattro, ognuno con la sua famiglia, la sua dimora, la sua stanza. Abbiamo giocato insieme, abbiamo inventato regni e costruito castelli di fogli ruvidi e bianchi. Insieme, abbiamo provato mille mestieri: quando sei piccolo, cambi lavoro ogni giorno e sei felice di farlo.
Poi la vita ha voluto separarci. Condizioni migliori in un posto migliore, per loro, e sono andati via, ad abitare dove le cose sembravano più facili. Erano due fratelli. Il più piccolo era come me, il più grande era luminoso. Divino. Inarrivabile. Luccicava come una biglia dorata. Il fratello maggiore che non ho mai avuto. E che avrei voluto avere. Aveva diversi anni più di me, non ero del suo sangue ma mi aveva adottato come fratello minore ad honorem, e mi insegnava tutto. Lo ammiravo. Da grande, dicevo, voglio diventare come lui: biondo, taglio alla Byrds, occhi chiari, tratti larghi da anglosassone ma per nulla involgariti da inutili battaglie, e un sorriso che non puoi cancellare. Sempre al centro, sempre se stesso. Il sogno per chi vive di leggende.

Dopo la loro partenza, ci siamo persi per un po’. 
Poi gli adulti hanno deciso che era tempo di ritrovarsi, come compagni di scuola che si affidano ad una rimpatriata per illudersi che il tempo non ci cambia. E lungo il viaggio verso la loro nuova dimora, mi chiedevo: “Mi riconoscerà? E io, riconoscerò lui?”
La radio passava “2009 - Le Cicale e le Stelle” di Lucio Dalla: 
“Chi l’avrebbe detto mai / che per essere felici / bastava stare un poco senza amore / o non pensarci più ma guardarlo freddamente / come uno che non vede e che non sente”. 
Forse la chiave è questa, riflettevo, stare un po’ lontani, guardare le cose con distacco. Forse questo ci aiuterebbe a capire il perché delle cose che non hanno un perché …

Al primo incontro, lui non era lì. Forse era impegnato a dar lezioni da guru, o forse intento a liberare una donzella dal drago. In ogni caso, l’avrei perdonato. Al secondo incontro, il fratellino della mia età mi ha guidato in un posto molto frequentato, il ritrovo principale della cittadina; c’era gente ovunque e c’ero anch’io anche se non volevo esserci. Provavo disagio per quel confronto, perché sai che certi momenti sono un passaggio che non puoi evitare.
Qualcuno tirò lievemente un filo esile dei miei capelli (erano lunghi già a 14 anni), per attirare la mia attenzione. Mi voltai con l’occhio della sfida ma il tipo aveva un sorriso affabile, incorniciato da una posa da star. Il fratellino mi chiese stupito: “Non hai capito chi è?” Quando rimisi a fuoco la vista, capii che, come immaginavo, non lo avevo riconosciuto. Era lì, alle mie spalle, tra quella gente interessata ad ogni cosa che non fosse me. Ma lui non aveva dimenticato, come un fratello maggiore sa fare, per non farti sentire un nulla in mezzo a chi si finge esperto di tutto. 
Indossava un impermeabile nero fatto su misura per chi sa essere se stesso in ogni posto; i capelli erano più chiari e molto più lunghi, legati all’altezza delle scapole in una coda sottile che si calava giù per la spina dorsale (dove ho già visto tutto questo?). Non avevo mai visto una biglia d’oro diventare ancora più dorata. Era la versione 2.0 del miglior fratello maggiore che non avevo mai avuto.

Mi disse poche cose che terrò per me. Ma quello che non mi ha detto merita di esser condiviso: non mi disse cosa dovevo essere, non mi spiegò la strada da seguire, non mi derise per il mio goffo aspetto, non giocò con il mio impaccio da adolescente preso nel mezzo, non aveva nessuna lezione da impartirmi. Quello che dovevo sapere era scritto nei momenti di attesa. Quelli che vengono prima e dopo. Quando le cose stanno per cambiare e quando sono appena cambiate.
Tornando a casa, mi chiedevo come sarei diventato alla sua età: guardandomi da una prospettiva diversa, tra qualche anno, con dei traguardi che avrei raggiunto o meno, sarei stato in grado di riconoscermi? Da grande, mi riconoscerò o mi sarò spinto così lontano da me che "quelli che incontrerò non mi avranno visto"? 
Noi, siamo davvero in grado di riconoscerci? 
In quella canzone, Lucio Dalla si ferma a constatare: 
“Ormai ci si abbandona solo ai calcoli perfetti / al football e alla noia degli oggetti / non ci si ferma più, non si muore veramente / al brivido sottile di due occhi / di due occhi mescolati tra la gente”.

Vero. Ma non va sempre così: Vi auguro quel brivido di due occhi mescolati tra la gente che guardano Voi e solo Voi, quando pensate che a nessuno importi un bel niente.

Ci Vediamo al Bivio, Ragazzi.
VVB