PIERO RAGONE è filosofo, ricercatore, scrittore, studioso di religioni e di esoterismo. Il suo campo d’indagine è tutto ciò che la scienza non è in grado di spiegare. Laureato in Filosofia nel 2001, consegue due master e nel 2017 riceve la laurea honoris causa in Scienze Esoteriche. Autore di numerosi testi di successo, è ospite di convegni nazionali ed internazionali e il suo nome è accostato ai maggiori interpreti della ricerca italiana e mondiale.

domenica 20 agosto 2017

MEMORIE DELL’EDEN

La piccola casa era spuntata su una collina di zucchero, con un castello medievale e una chiesetta a proteggere i suoi orizzonti.

La notte sapeva essere così profonda da scoraggiare quelli della mia specie a guardarla negli occhi; si spingeva oltre una strada color carbone che si immergeva in una liquida oscurità e, da laggiù, proveniva di tutto: passanti, girovaghi, messaggeri, esseri di mondi innocui. A volte nel buio rantolava un  motore invisibile, un sibilo danzante, una musica senza strumenti.

Io sedevo sul palmo di una mano rosea contornata da alberi senza frutti e coperta da cieli pieni di amici. Le panchine, attorno, brillavano di lucciole di cartapesta.
E vedevo le vite sommerse, i viaggi ininterrotti tra il silenzio e le promesse; immaginavo i posti da cui provenivano, le parole che avevano inciso, i ricordi che avevano lasciato. Ero spettatore di ogni anima che voleva essere ammirata, che usciva dal buio e ritornava nel buio, illuminandosi solo nel tempo del passaggio.
Ero un re su un trono di arcobaleno.
E mi sentivo al centro del mondo.
Quel posto esiste. Il suo nome è ovunque. Cercate sulle mappe, cercate nelle cronache, cercatelo nei Testi Sacri.
Ma se non ci crederete non lo troverete.
Alcune favole hanno bisogno di essere vissute prima di essere trascritte.
VVB

UN PENSIERO PIU' VELOCE DELLA LUCE

Uno dei paradossi con cui gioca la Scienza quando si confronta con il Tempo dice: se io inviassi alla velocità della luce un messaggio vocale (perdonatemi, scelgo qualcuno a caso tra gli Amici) a FrancescaIlenia,Daniele e Gabriele, loro riceverebbero il mio messaggio PRIMA che io lo abbia inviato.
Non è possibile, diremmo tutti, eppure questo PRIMA lo abbiamo giù sentito: Matteo 6,7-8 
"Quando pregate, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole; il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ANCOR PRIMA che gliele chiediate".
Matteo (o chiunque sia l'autore del testo) dice proprio così, "(...) προ του υμας αιτησαι αυτον" "(...) PRIMA che Voi chiedete a Lui". Il Padre riceve PRIMA quello che non abbiamo ancora espresso a voce perché il pensiero non ha la stessa consistenza del suono; ha una velocità, una "leggerezza", una composizione differente. Ora, sappiamo che la Parola ha un potenziale eccezionale, sia creativo sia distruttivo; ma il pensiero è ciò che da' potere alle parole. 
Alzi la mano chi non si è mai portato sfortuna da solo, per poi dire "Ecco, lo sapevo ..."; "Capitano tutte a me" o "Ne ero certa che sarebbe andato storto!".
Quante volte diciamo: "Lo sentivo che avresti risposto così"; oppure "In qualche modo sapevo quello che stavi per dirmi". Non si tratta di poteri sovrannaturali. E' il pensiero che ha una velocità maggiore e, se siamo predisposti a quel tipo di "ascolto", lo percepiamo PRIMA che sia proferita parola. 
L'aspetto poco piacevole è questo: la maggior parte dei pensieri che abbiamo sono negativi. Su noi, sul mondo, sugli altri. Sono davvero pochi gli ambiti nei quali ci riteniamo pienamente soddisfatti. Pensiamo in modo contorto, diciamo cose contorte, accadono cose contorte.
Neale Walsch, nelle sue "Conversazioni con Dio", ha scritto qualcosa che suona più o meno così (non ho io testo con me) "Come prima cosa, noi pensiamo, e questo condiziona tutto il resto, l'elaborazione e l'azione che ne seguono o NON seguono, se il pensiero ci suggerisce di non far nulla"; ma Dio gli risponde: "Prova a invertire l'ordine, agisci, elabora ciò che hai fatto e POI formula un pensiero sull'accaduto".
Tanti fattori esterni pregiudicano l'integrità del nostro pensiero. Vogliamo essere propositivi e ottimisti ma incontriamo così tanti ostacoli da sentirci sempre prossimi alla resa. Non vorremmo mai, eppure quante volte tentenniamo e diciamo "No, così non ce la faccio"?. 
Lo vedo su di me: quando approccio il mio lavoro con qualche dubbio, la giornata è fiacca, semino poco, raccolgo anche meno; quando invece parto con l'idea che io e Einstein ci diamo del Tu, allora produco senza sosta.
Ormai al termine della sua carriera, Muhammad Alì confessò: "Credete davvero che quando DICEVO di essere il più grande, fossi realmente convinto di esserlo? No di certo, ma l'unico modo per diventarlo era imporre ai miei amici, alla mia famiglia, ai miei allenatori e a me stesso di ripetermelo ogni giorno, per decine di volte al giorno. Quel magico mantra penetrava nella mia mente e si trasformava in un pensiero che non mi abbandonava. Diventavo quel pensiero. Sei il migliore, Sei il migliore. E lo sono stato". Questo era il suo segreto, ed è così che ha sconfitto avversari che lo avrebbero messo al tappeto senza pietà se con il pensiero, nella sua mente, non li avesse già sconfitti. E i suoi rivali, abbagliati da quella convinzione disarmante, percepivano la forza dirompente di quel pensiero vincente.
Scriveva Sun Tzu nell'Arte della Guerra: "Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere", ed è così. Il più nobile dei pensieri vince il più imbattibile dei nostri oscuri avversari; perché il suo gancio arriva PRIMA. E' un pensiero nobile, contro.di lui non hanno scampo. 
I pensieri hanno ali d'angelo; le parole hanno gambe umane.
Sun Tzu diceva anche: "Combatti con metodi ortodossi, vinci con metodi straordinari". Pensare l'impossibile per ottenere l'impensabile è un metodo straordinario. 
Nei tre anni di scuola media ero uno di quegli studenti magrolini che prende sempre botte dai numeri uno che mettono all'angolo i tipi come me per farsi belli agli occhi delle fanciulle. Qualcuno avrebbe mai creduto che sarei riuscito in qualcosa? Il me plasmato da una società perdente era un perdente. Il me deceduto qualche anno fa non ne era in grado. Ma ho creduto nell'impossibile, e ho ottenuto qualcosa che si riteneva impensabile, niente che abbia a che fare con la materia. E' una questione di Spirito.
Eppure tante volte ho fallito la prova del pensiero, mi sono lasciato avviluppare da immagini contorte che dipingevano ai miei occhi un ritratto di me che non rispecchiava il mio "vero" me. Ma io inciampo per contratto. 

Voi dovete fare meglio.
E chissà, forse un giorno scopriremo che qualcuno avrà letto questo messaggio PRIMA che lo pubblicassi.
VVB

NON CONQUISTARE IL MONDO. CONQUISTA TE STESSO.


Dio è un genio. Sa darti lezioni anche quando pensi che sei tu a darne a Lui. Madre Natura scelse di farmi bassino (1.72 non è cifra da giganti), con un serio disturbo alla vista, timido fino all’eccesso, introverso da far venire noia, un genio dietro i banchi ma un disastro nello sport.
E io, come risposta, scelsi il tennis. Mi piaceva perché nel tennis non c’è squadra. Tu vinci tu perdi. Ma non c’era la possibilità di frequentare buone scuole, avere buoni maestri. 
E così feci da me. Un allenamento “matto e disperatissimo”, dovevo arrangiarmi con racchette non convenzionali, palline di gomma per non far rumore, e poi correre correre correre. Il mio coach era il VHS: imparavo strategie da match che registravo e rivedevo giorno dopo giorno. La mia prima racchetta seria fu una Dunlop da bassifondi; la seconda fu una Prince Classic Graphite che splendeva anche di notte. Prince, come il principe che volevo diventare. Non compravo completi; li disegnavo e mia madre li confezionava per me. 
Il mio gioco aveva molte lacune: servizio senza peso e diritto spento, ma avevo un rovescio bimane da urlo e una determinazione imbattibile. Quel furore che non puoi domare. È così che ho vinto quasi tutti gli incontri. Quasi sempre in rimonta: quando quelli più bravi di me (cioè tutti) mi distaccavano, tiravo fuori gli artigli e li rimettevo al loro posto. Era vivere in funzione di un’idea: i miei limiti fisici, la mia scarsa preparazione, la mia estrazione sociale dicono che non posso farcela; io voglio dire il contrario. Vincere quando tutti dicono che non ti è concesso vincere.
In Matchpoint, di Woody Allen, il protagonista afferma: 
“Chi disse ‘Preferisco avere fortuna che talento’ percepì l'essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia tutto così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e in quell’attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po' di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde”.
E io credevo che nessun nastro potesse fermare i miei colpi; ero convinto che tutte le volte la pallina sarebbe caduta dalla parte giusta. E per un po’ è andata così. Ho alzato qualche coppa, ricevuto qualche medaglia; sono rimasto imbattuto per un anno intero. Molti pensavano che avrei potuto osare una onesta carriera da semipro.
Ma arriva per tutti il tempo degli esami.


Settembre 199X. Mi iscrivo ad un torneo che avevo vinto l’anno precedente. Fui sorteggiato al primo turno con un amico, ci siamo allenati assieme per tutta l’estate. Ma lui aveva un allenatore, io no.
Lui aveva il pubblico dalla sua, io no (ero ancora “quello da battere”). Per la prima volta, mi sentii inadeguato, c’era la sensazione che quello non fosse il posto dove avrei dovuto essere. Conoscevamo i punti deboli l’uno dell’altro. Il suo era il rovescio. Il mio era tutto il resto. Vinco il primo set 6-3. Facile, troppo facile. Ma lui è in gamba, sa dove colpire, sa dove non posso arrivare; vince il secondo 6-4 e si porta 5-4 nel terzo dopo 3 ore e mezza di pura scherma. Ancora un punto e sono fuori. Lui serve, tira a destra, sinistra, ancora destra e poi sinistra, faccio il tergicristallo come se quella palla racchiudesse il mio futuro e se fosse caduta sarebbe esplosa cancellando un’illusione. Non potevo lasciare che accadesse ma, in fondo, lo avevo capito. Quella partita non era per me, quello sport non era per me, quella racchetta non era per me. Volevo dimostrare che potevo vincere battaglie per le quali non ero nato. Ma Dio mi ha ricordato che c’era ben altro da fare. E quel nastro, che prima lasciava passare tutti i miei colpi, quella volta trattenne la pallina. Che cade dalla mia parte. Risultato finale: 3-6.6-4.6-4. Fuori al primo turno. Ho distrutto la mia Prince sotto gli occhi di tutti a fine gara come Cobain distruggeva la sua Fender Jaguar mancina a fine concerto. E non sono più tornato su un rettangolo di gioco. Nemmeno per gioco. 
Ma non perso. Ho vinto. Quella sconfitta mi ha condotto sulla strada che percorro adesso.
I nostri campi di battaglia sono quelli in cui sentiamo di poter aggiungere qualcosa. Portare linfa nuova. Dare un contributo in meglio. Se combatti le battaglie di un altro, a vincere sarà un altro. Se combatti le battaglie sbagliate, ottieni vittorie sbagliate. Dimostrare a me stesso che potevo sconfiggere avversari più grandi e grossi di me è stata una sinfonia che la mia anima non scorderà mai. Ma lì potevo solo alzare coppe e collezionare medaglie. Qui posso vincere la piaga dell’ignoranza e il flagello della menzogna. Porgere la mano ad un mondo che ha bisogno di aiuto. Niente palline e racchette adesso. Solo penne e quaderni. 
E la mia vecchia martoriata Prince, li come un trofeo, mi ricorda che ci vuole fortuna anche quando devi tirarti indietro al momento giusto. E che non devo mai aver paura di perdere: può essere la vittoria più importante della mia vita.
- Piero Ragone 
VVB

giovedì 10 agosto 2017

L'ORGOGLIO DI UNA CICATRICE


La maggior parte delle cicatrici hanno 3 aspetti negativi: sono antiestetiche, suscitano domande da parte di chi le nota, mantengono vivo in noi il ricordo (spesso non felice) di ciò che le ha provocate. Tuttavia, possiedono un pregio che supera ogni imbarazzo.
La parola "cicatrice" non rende giustizia; deriva da un termine sanscrito che significa "annodare, saldare, unire". La cicatrice è il segno della ferita risanata. Ma, quasi sempre, la nostra memoria conserva il momento in cui ce le siamo procurate, non la fase successiva in cui abbiamo ricevuto le cure necessarie.
La cicatrice è un segno indelebile, un segnalibro tra le pagine del diario della nostra vita che ricorda i periodi difficili che abbiamo affrontato, le battaglie che abbiamo superato, gli errori che abbiamo commesso, le scelte sbagliate nelle quali ci siamo persi.

Dice Paulo Coelho ne Il Manoscritto Ritrovato ad Accra:
"Alla fine arriverà un tempo in cui i momenti difficili saranno solo storie da raccontare con orgoglio a chiunque vorrà udirle.Bisogna essere orgogliosi delle proprie cicatrici. Esse sono medaglie che marchiano le carni e spaventano l’avversario, mostrando che ha di fronte un uomo che possiede una grande esperienza nel combattimento".



Maggiore è stata l'incidenza di una cicatrice, minore sarà l'irruenza dell'ostacolo successivo. 
Il potere di un ostacolo di incutere timore in noi diminuisce quanto più aumenta la nostra capacità di essere fieri dei segni delle battaglie vinte che la vita ci consente di esibire.
Chi non prova imbarazzo per le proprie cicatrici diventa il peggior nemico del suo ostacolo.
Qualcuno dice che le stelle cadenti sono le "ferite del Cielo", i segni delle battaglie vinte e perse, dei successi e dei fallimenti di chi Crea con buone intenzioni ma poi scopre che anche l'Eterno ha un limite, e che persino l'Amore a volte lascia segni dolorosi.
Finora la vita mi ha regalato 13 cicatrici visibili (alcune molto visibili), 13 poco visibili (tra queste, 1 sullo sterno, 2 negli occhi, 2 dove crescono le ali). Per non parlare di quelle dell'Anima.

Eppure sono ancora qui.
Ed è per questo che i miei ostacoli mi temono. E fanno bene.

VVB